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© maurimarino

© maurimarino

– Dici che si porta dietro un alter?
– E che se ne fa di un alter qui da noi? Ci va a pesca nel fiume?
– Spaventa i selvaggi!
– Non dire idiozie. E poi non ci può stare, un alter, in questo posto.
– E perché mai?
– Dì un po’, da quanto tempo sei qui? Su questo mondo, voglio dire.
– Sarà un mese fra due giorni.
– E in un mese non hai ancora capito che certe cose da noi non sono ammesse?
– Non è vero! Io li ho visti, degli alter. Stavano ai lati della pista quando sono arrivato.
– Ma certo, è un aeroporto. E’ sorvegliato dai federali, per forza ci sono degli alter. Servono per garantire la sicurezza di quel perimetro.
– Allora vedi che li avete anche qui?
– No, non siamo noi che li abbiamo. Appartengono ai federali di guardia all’aeroporto, e non possono allontanarsi da lì.
– E perché?
– Oh, ma sei peggio di un moccioso. Quanti anni hai, cinque?
– Ho tredici anni!
– Beh, ne dimostri al massimo sei. Non l’hai imparato a scuola? Negli avamposti si vive in modo semplice, come nei tempi andati. Senza tante comodità.
– E perché?
– Perché è giusto così! E’ più naturale!

Il capomastro sorrise, dal piano di sopra, nell’udire la risposta del proprio figlio al giovane apprendista. Magari fosse stato così semplice.
In teoria, il livello tecnologico degli insediamenti era fissato per legge: non doveva superare di molto quello delle popolazioni native, qualora ce ne fossero. Il principio era di limitare le contaminazioni culturali, e prevenire possibili soprusi da parte dei coloni. Ma a volte capitava che i nativi si dimostrassero ostili, e lì era una tutta un’altra storia. Interveniva l’esercito, imponeva la legge marziale, relegava i ribelli in zone circoscritte, e le loro terre finivano in pasto alle confraternite commerciali.
Altre volte, invece, erano gli stessi nativi a manifestare il desiderio di raggiungere un più alto grado di “civiltà”, e a quel punto le confraternite avevano campo libero, senza bisogno che i militari sparassero un solo colpo. Per un motivo o per l’altro, era raro che nei mondi di frontiera i rapporti fra nativi e coloni si mantenessero in equilibrio per molto tempo.
Quel mondo, su cui lui viveva, rappresentava una delle poche eccezioni.
Ma il capomastro sospettava che, per gli interessi di qualcuno, la pace fosse durata abbastanza a lungo anche lì.

Assorto in tali pensieri, l’uomo finì di assestare gli ultimi colpi di mazzuolo alle assi del pavimento. Quando gli parve che fosse tutto a posto, ben livellato, ancora ginocchioni alzò lo sguardo verso la stanza che aveva appena finito di ristrutturare. Una sistemazione spartana, non c’era dubbio, ma dignitosa.
Si sentiva soddisfatto del proprio lavoro, specie dopo il poco preavviso che gli era stato dato. Solo due giorni prima, quella casa era poco più di una stamberga. Mura scrostate, tetto pericolante, porta e finestre divelte. Pavimento del primo piano sfondato, con alcune delle assi, quelle meno marce, che erano state asportate da chissà chi. Quattro vecchie mura che potevano offrire riparo giusto a qualche animale; e infatti, il vecchio Gustavsson ci teneva un paio di quelle grosse capre mezzo selvatiche dalle lunghe corna, che solo lui, in tutti i nove distretti, era riuscito ad addomesticare.
In soli due giorni, con l’aiuto del figlio e dell’altro ragazzo, era riuscito a far ridiventare quel posto un luogo abitabile. Forse non così degno dell’ospite di riguardo di cui i Bastioni erano in attesa. Ma di gran lunga migliore di un pagliericcio in una stalla.

Mentre raccoglieva i propri attrezzi e si apprestava a scendere dabbasso, il capomastro si concesse qualche istante di compiacimento per quel buon lavoro, finito nei tempi richiesti.
Dal piano terra continuavano a giungerli le voci dei due ragazzi, che ora si erano messi a discutere su quale fosse il modello di alter più forte di tutti i tempi:

– Secondo me, nessun prototipo o mezzo di serie ha ancora superato la potenza del GHBeta. Il Gamma e il Delta sono solo delle pallide imitazioni.
– Ma vuoi scherzare? L’Omega F Sigma del principe Gail lo ha fatto a pezzi, il Beta!
– Cioè, quell’ammasso di ferraglia dipinta di rosso che dopo quello scontro il principe ha dovuto rottamare, tanto che era danneggiato?
– Sarà pure stato danneggiato da non potersi riparare, ma intanto il tuo Beta era già nel walhalla degli alter!
– E allora cosa vorresti dire, che gli alter di Arden sono più forti di quelli della Federazione?
– Ma certo che no! I nuovi modelli della serie AGH gli faranno il culo a strisce, al principe e ai suoi.
– Ragazzi, non vorrei smorzare il vostro entusiasmo, ma ci vorranno ancora almeno un paio d’anni prima che gli AGH diventino operativi.

Chi aveva parlato? Il capomastro non aveva riconosciuto la voce.
Giovane, di suono cortese ma dal timbro autorevole. Possibile che l’ospite atteso fosse già arrivato?
I ragazzi, di certo sorpresi dal nuovo venuto, si erano zittiti ed erano rimasti in silenzio per qualche attimo. Ora si stavano ricordando le buone maniere.

– Perdonateci, wanax. Non vi abbiamo sentito entrare.
– Sì, wanax, vogliate scusarci. Siete il benvenuto.
– Oh, vi prego, non chiamatemi wanax. Sono solo un cadetto, non molto più vecchio di voi.
– Come preferite, signore.
– Qual è il vostro nome, signore?
– Il mio nome è Vladji’har di Obemasàr, ma potete chiamarmi Vladi.

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(Foto di Maurizio Marino, per gentile concessione)