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#FightClub, #firstnight, #nonluoghi, atmosfere decadenti, è sempre la prima notte, Brad Pitt, Chuck Palahniuk, David Fincher, edifici abbandonati, Edward Norton, fascinazioni perverse, Fight Club, luoghi desolati e senza scopo, mantenersi in equilibrio sopra la follia, riflessioni in un quadrato, Tre in Uno, Tyler Durden, verso nuove storie, vite consumate, we have to fight
Il Primo dei Tre avvertì un movimento alle proprie spalle.
Il Secondo dei Tre si voltò, e con la coda dell’occhio fece in tempo a scorgere un gatto che, fulmineo, se la svignava all’esterno.
Il Terzo dei Tre rimase immobile e in ascolto per alcuni istanti, accertandosi di non udire alcun rumore.
Infine, i Tre tornarono a indagare l’interno di quel luogo, lasciando che i dettagli e il quadro d’insieme facessero fluire in loro sentimenti, ricordi, libere associazioni di idee.
Si erano addentrati in un edificio industriale abbandonato: un vasto capannone vuoto attraversato in alto da travature metalliche, affiancato da locali più piccoli con ampie finestre e un paio di scale rugginose. Adiacenze che forse un tempo avevano ospitato laboratori e uffici, oramai solo calcinacci e fili penzolanti.
I Tre camminavano da una parete all’altra, in silenzio, fuorché per lo scricchiolio dei propri passi sul cemento sbriciolato; scrutando negli angoli, indugiando sulle prospettive, mentre il sole del tardo pomeriggio tagliava obliquo l’aria polverosa, filtrando dal soffitto a pannelli di vetro. Pur nel degrado generale, l’atmosfera del luogo non era priva di solennità.
Fu il Secondo dei Tre a rompere il silenzio.
– Qualcuno mi sa dire perché siamo qui, anziché a fare ciò che dovremmo?
– Perché, cos’è che dovremmo fare? – Gli rispose il Primo dei Tre, al solito impertinente, pronto a cogliere (o insinuare) la minima provocazione.
– Ad esempio, lavorare a qualche nuova Storia. Da mesi non inseriamo Contenuti nel Flusso, e trascuriamo di verificare gli aggiornamenti del Lettore.
– Ed è grave?
– Non lo definirei grave, ma di certo, e dico a te che tieni tanto alla forma, non è elegante. Nella migliore delle ipotesi, a quest’ora gli altri Nodi staranno pensando che il nostro interesse nella Condivisione sia venuto meno. Nella peggiore, che ci sia accaduto qualcosa.
– Fammi pensare. L’ultima volta che ho controllato, non mi pareva che avessimo qualche obbligo.
– Sì, ma…
– E oltre a ciò, il Flusso è per sua natura volatile. Quanti altri Nodi che tutti credevamo stabili sono svaniti nel silenzio cosmico, per poi ricomparire a distanza di molte lune? O non ricomparire affatto?
– D’accordo, però noi…
– E infine, e vorrei dire soprattutto, in effetti “qualcosa” ci è accaduto. E’ la vita che accade, e che ci porta altrove da dove preferiremmo stare.
– E dunque non dovremmo…
– Fate silenzio, voi due – disse il Terzo dei Tre – e continuate a osservare. Concentratevi sul vedere quel che vedo io. Abbandonatevi all’immaginazione.
Il Primo e il Secondo dei Tre si zittirono e continuarono a osservare.
Si concentrarono. Si abbandonarono. E infine qualcosa videro.
Nella luce del giorno che iniziava a scolorare, l’interno di quel luogo si andava infittendo di ombre che si allungavano e si confondevano fra loro sul pavimento e lungo le pareti, fino a formare un coro di sagome oscure che sembravano disporsi intorno ai Tre come…
– …come intorno a un quadrato – disse il Secondo dei Tre.
– Esatto – rispose il Terzo dei Tre. – E quindi?
– E quindi, be’, se devo dire la mia…
– Coraggio, non essere timido – lo punzecchiò il Primo dei Tre.
– Va bene. Sapete che preferisco agire piuttosto che parlare. Ma se proprio devo…
Il Primo dei Tre fece per aprir bocca di nuovo, ma il Terzo dei Tre lo zittì con un cenno.
– Non è che tu debba, se non ti va. Ma ci farebbe piacere ascoltarti – disse rivolto al Secondo dei Tre. Che indugiò qualche altro istante per riflettere, e si decise a esporre il proprio pensiero.
– Questo luogo non è antico ma è comunque irrimediabilmente vecchio, inospitale, corroso. E’ un edificio che mai, fin dall’inizio, è stato concepito per viverci dentro, ma solo per consumare intere esistenze, nutrendosi di fatica umana, di stanchezza inesausta, fra il clangore di chissà quali macchinari e il puzzo di attrito metallico e di lubrificante. E che ora, in disuso da chissà quanto, non ha più alcuna funzione. Alla meno peggio potrebbe offrire riparo durante un temporale.
Il Primo dei Tre pensò che ci si sarebbe potuto ricavare un loft o una sala concerti postmoderna, ma se lo tenne per sé.
– Niente male – disse invece – una scelta di parole un po’ teatrale, ma il senso c’è tutto.
– Grazie. Non ho finito. Qui dentro, uomini e donne, chissà quanti nel corso degli anni, hanno trascorso interminabili ora col capo chino sul proprio lavoro, senza mai nemmeno, forse, alzare lo sguardo al cielo sopra le loro teste. Che pure stava lassù, appena al di sopra di quei vetri…
– Mi dispiace ma ti devo interrompere – fece il Terzo dei Tre – eri partito bene, ma poi ti sei lasciato coinvolgere dal retaggio di questo luogo. Sia chiaro: apprezzo la tua passione. Ma non siamo qui per riflettere sulle condizioni della classe operaia.
– Ah, che peccato! – intervenne il Primo dei Tre, di nuovo garrulo – Questo succede quando a un guerriero viene chiesto di fare il lavoro di un poeta.
Le ingiustizie sociali ne infiammano il fervore, e perde la brocca.
– Sentiamo un po’, tu hai qualche idea migliore? – gli domandò il Secondo dei Tre. Che non mostrava disappunto, o lo mascherava assai bene.
– Forse sì. Posso?
– Avanti, tanto ce lo diresti lo stesso – lo incoraggiò il Terzo dei Tre.
Per tutta risposta il Primo dei Tre fece un inchino, e quando si raddrizzò aveva gli occhi che brillavano e il sorriso sghembo della sua migliore da faccia da schiaffi. Appena apri bocca, però, divenne di colpo (quasi) serio. E, quando lo fece, parlò in una lingua straniera.
– Gentlemen! Welcome to Fight Club.
The first rule of Fight Club is: you do not talk about Fight Club.
The second rule of Fight Club is: you DO NOT. TALK. About Fight Club.
Snocciolò con piglio sicuro, scandendole con perfetta dizione, tutte le restanti battute fino all’ultima.
– And the eighth and final rule: if this is your first night at Fight Club, you have to fight.
Infine concluse con un altro inchino.
Il Secondo dei Tre lo guardava perplesso. Il Terzo dei Tre sorrideva.
Ancora una volta, fu il Secondo dei Tre a rompere il silenzio.
– Bravo il nostro Brad Pitt. E con ciò cosa vorresti dire?
– Possibile che non ti venga in mente? Eppure all’inizio c’eri quasi arrivato.
– Se me lo spieghi è meglio.
– Dai, diglielo – fece il Primo dei Tre rivolto al Terzo. – Illuminaci, o nostro sommo ispiratore.
– No no, vai pure avanti tu. Non vorrei rubarti la scena. E poi, se io sono l’ispiratore, tu sei l’interprete.
– E io che cosa sono? – domandò il Secondo dei Tre.
– Tu sei l’esecutore – gli rispose il Terzo dei Tre, con la consueta, disarmante semplicità.
– D’accordo, allora sentiamo il nostro premio Oscar, qui.
– E’ presto detto. Hai osservato prima che questo punto preciso, in cui ci troviamo da qualche minuto, sembra un quadrato. Ed è proprio ciò che è. Hai riconosciuto che siamo in un luogo di fatica, ed è vero, ma incompleto. Perché questo è un luogo di lotta. E tu più di tutti avresti dovuto capirlo, se me lo concedi, viste le tue inclinazioni.
– Che genere di lotta? Sopravvivenza quotidiana?
– Sì, ma non nel senso che intendevi tu poco fa. Se è vero che la vita è tutto un equilibrio sopra la follia, in questo luogo si è consumata la lotta per mantenere tale equilibrio. O per riconquistarlo. Il pavimento di cemento grezzo che abbiamo sotto i piedi è stato davvero il quadrato di un enorme ring.
– Esatto – disse del Terzo dei Tre.
– E potrebbe esserlo ancora. Un posto del genere sarebbe perfetto per degli incontri di lotta clandestina.
– E’ per questo che hai citato Fight Club? – domandò il Secondo dei Tre.
– Anche, ma non solo. Perché oltre alla lotta, c’è il fatto che non ne parleremo.
– Perché no? Siamo diventati una società segreta?
– Dai, spiegaglielo tu – disse di nuovo il Primo al Terzo dei Tre. – Non far fare a me tutto il lavoro.
Questa volta, Il Terzo dei Tre non obiettò.
– D’accordo, finisco io. L’intuito è riuscito a cogliere quel che la ragione fatica a comprendere, abituata com’è a misurarsi con cose pratiche.
Noi però non siamo solo l’uno o solo l’altra. Noi siamo Tre, e insieme abbiamo il dovere di cogliere quante più sfumature e implicazioni possibili.
– Forse se voi due parlaste meno per metafore – obiettò il Secondo dei Tre.
– Non hai tutti i torti, ma la creatività consente di apprendere con più chiarezza. Dunque, dicevamo della lotta. Così come le persone che hanno lavorato qui dentro, anche noi sappiamo che la lotta è inevitabile. Ne siamo consapevoli, l’abbiamo vissuta, la viviamo a tratti quasi ogni giorno.
– Va bene. Ma perché non possiamo parlarne?
– Non è, di preciso, che non possiamo. E che per il nostro bene non dovremmo farlo. Non subito, almeno. Rifletti: se oltre a doverla vivere, poi la volessimo anche raccontare, che succederebbe?
– Che sarebbe come viverla due volte?
– Proprio così. Sarebbe come dire che un solo aspetto della nostra vita si prende tutto, prima le azioni, poi i pensieri, e assorbe ogni nostra energia al punto che non ci rimane tempo per nient’altro. Ti sembra giusto?
– No, affatto. Non mi sembra giusto, e a pensarci bene non mi sembra neanche sano.
– Concordo – intervenne il Primo dei Tre. – Abbiamo così tante Storie da raccontare, e sempre meno tempo per farlo. Se è vero che non possiamo sottrarci alla lotta, quando ci tocca, possiamo almeno scegliere di lasciarcela alle spalle una volta superata. E di guardare oltre.
– Tanto più – riprese il Terzo dei Tre – che pure un luogo come questo, desolato e senza scopo, stimola la nostra immaginazione proprio come poco fa ha suscitato il tuo fervore. Ha un suo fascino decadente. Conserva gli echi della lotta che si è svolta qui dentro per anni, della fatica e delle vite di cui si è nutrito. A furia di sostarvi, e di parlarne, finiremmo per restare intrappolati. A quel punto la lotta, e questo posto, o un altro che gli somigli, si sarebbero presi ogni cosa.
– Va bene, mi avete convinto – disse il Secondo dei Tre. – E dunque, ora che è tutto chiaro, cosa aspettiamo ad andare via da qui?
– Abbiamo ancora una cosa da fare – rispose il Terzo dei Tre.
– E sarebbe?
– Stai a vedere.
Il Terzo dei Tre avanzò verso il centro di quel quadrato immaginario, con il suo coro di ombre incombenti. Il Primo dei Tre lo seguì.
Al Secondo dei Tre parve allora di intuirne le intenzioni, e cercò di fermarli.
– Che state facendo? Questa non è certo la nostra prima notte!
Il Primo dei Tre si voltò e gli rivolse un ampio sorriso.
– Fratello, ogni notte è sempre la prima notte – disse, con guizzi febbrili che gli danzavano negli occhi, mentre le ombre intorno a loro si facevano sempre più fitte. E minacciose. – So, we have to fight!
L’ha ribloggato su Julian Vlade ha commentato:
Qualche settimana fa avevo pubblicato un’anticipazione. Oggi siamo al dunque. #FightClub #FirstNight
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Pingback: #FioreGiallo n° 30 (o dell’equilibrio sopra la follia) | Nove fiori gialli
Davvero notevole. Mi hai rimesso in pari la giornata che era iniziata pesante 🙂
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Mi fa piacere. E ti ringrazio, anche perché credo che questa sia la prima volta che commenti un mio post 🙂
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Accipicchia, l’immagine veramente si collega a questa storia. E’ stata scelta per illustrarla o è l’immagine che ha ispirato la storia? Complimenti! Interessante lettura!
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Ti ringrazio, sono contento che ti sia piaciuta!
Avevo già in mente il succo del discorso, e ricordavo di avere visto delle foto che facevano al caso mio sul portfolio di Maurizio: le immagini mi hanno fornito una scenografia precisa per le descrizioni dell’ambiente e ispirato la struttura generale della storia. Uso il plurale perché, oltre a quella che vedi qui sopra, ne avevo già utilizzata una di soggetto analogo per il prologo, pubblicato a inizio giugno. Non so se siano due scatti dello stesso luogo presi da due punti diversi, io ho fatto come se lo fossero 🙂
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