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Ana Serradilla

Lei si staccò da me e mi guardò negli occhi. Io guardai nei suoi.
C’era qualcosa, in quello sguardo. Qualcosa che non ho saputo cogliere fino in fondo, né in quel momento né mai. E che mi affascinava. Sarei annegato volentieri nello sguardo di quegli occhi neri. Sus hermosos ojos negros.
Una curiosità vivace, divertita. Dolce. Una scintilla di vitalità appena contenuta, di malizia compiaciuta, eppure ingenua.
Si sarebbe detto che, da un istante all’altro, potesse mettersi a ballare nuda sul tavolo della cucina. In un certo senso, quello che stava accadendo ci andava molto vicino. Ed era anche meglio.

Era lì, sdraiata in braccio a me, sul divano di quella piccola stanza, senza nient’altro addosso che un brasiliano di pizzo nero. Le avrei tolto volentieri anche quello, ma non c’era fretta. Mi piaceva guardare come le si disegnava addosso.
Il corpo snello e sodo, in totale, rilassato abbandono fra le mie braccia.
La pelle serica e lucente di una figlia dell’America Latina; i capelli corvini sciolti a morbide ciocche sul mio braccio, contro la mia spalla, sul mio petto.
Lei mi guardava, e io non riuscivo a staccare i miei occhi dai suoi. Non che volessi farlo, sia chiaro. La guardavo e non osavo dire nulla, per non rovinare la semplice perfezione di quel momento. Non osavo dire né fare nulla, a parte accarezzarne la pelle calda e morbida, dalla schiena giù fino alla caviglia, modellando la mia mano su ogni curva, con studiata lentezza.
Poi lei sorrise. Un sorriso candido, aperto, che la faceva apparire ancora più bella. Nessuna ragazza dovrebbe essere giudicata davvero bella prima di averla vista sorridere.
– Perché sorridi? – le domandai.
– Perché sei buffo.
– Buffo?
– Sì.
– Perché buffo?
No sé. Hai una faccia… Sembri un bambino che stia guardando un pulcino appena uscito dall’uovo.
Risi.
– Allora, credo di avere uno sguardo pieno di meraviglia.
– Sì. E sei buffo.
– Aha.
– E dolce…
– Davvero?
– E bello.
Mi baciò. Ricambiai il suo bacio. Avrei voluto che quella notte non finisse mai. Lo so che è un modo di dire sfruttato fino alla noia. Ma in quel momento mi sentivo proprio così. Non saprei come esprimerlo meglio.

Poi, lei posò gli occhi sul mio tatuaggio, sulla parte sinistra del petto, che era a pochi centimetri dal suo viso. Non mi domandò cosa fossero quei tre segni rossi. Né perché mi fossi fatto tatuare tre unghiate attraverso il petto. Non fece domande né commenti, a differenza di tutte le altre a cui avevo mostrato (o che in qualche modo avessero visto) quel tatuaggio.
Si portò la mano sinistra all’altezza del viso, vicino alla bocca, e fece scorrere le dita, piano, ciascuna a seguire un singolo segno di inchiostro rosso.
Poi si avvicinò, e leccò i graffi dipinti sulla mia pelle con la punta della lingua. Poi lì baciò. Io ero sempre più affascinato. Ed eccitato. Ma per nulla a disagio, né mi sentivo teso in un modo che mi trasmettesse una qualche urgenza. Stavo benissimo. E lei era – com’è che dicono in Spagna? Hanno un nome per definire una ragazza così – ah, ecco: un’autentica diosa. Una dea.

Isabel mi guardò di nuovo, e sempre sorridendo mi disse:
– Ci vorrebbe una frase, qualcosa di storico per celebrare questo momento.
– Io forse ne ho una…
– Ma che non sia troppo pomposa.
– Tranquilla, non lo è.
– Non mi piacciono le cose troppo pompose. Sanno di vecchio, di professori di settanta o ottant’anni.
– Ne conosci molti? Di vecchi professori?
– Non molti. Per fortuna. Alla facoltà di Scienze per lo più ci sono insegnanti giovani, al massimo di mezza età. Gente allegra, positiva.
– Perché, i vecchi sono tristi?
– Alcuni. Non tutti. Conosco dei vecchietti molto simpatici. Ho due amici pensionati che vengono al bar tutti i giorni, fanno a gara fra di loro per farmi la corte. Sono galanti. Gentiluomini d’altri tempi. E sono divertenti. Insieme ridiamo tanto.
– Davvero? Devo essere geloso?
– Stupido – Rise. Poi mi guardò sorniona, con aria di sfida. – Chi ti dice che tu abbia il diritto di essere geloso? Per essere uno che ho conosciuto da meno di sei ore, sei bravo a marcare il territorio.
– Hai ragione. Non sono geloso.
Mi chinai su di lei per baciarla. Sembrava non aspettasse altro. La sua punzecchiatura era stato un chiaro invito. Ricambiò con un ardore che mi fece avvampare.
– E allora?
Per un momento non capii. Avevo il sangue al cervello, il fiato che cominciava a farsi corto. Rimasi disorientato da quella domanda a bruciapelo.
– Allora cosa?
– La frase!
– Ah, sì – Sollievo. Sorrisi guardandola negli occhi. – “E’ viaggiando che si trova la saggezza”.
– Carina! Di chi è?
– E’ un detto popolare di una tribù africana. L’ho letto sul muro di una discoteca, tempo fa.
– Sul serio? Da dove vieni tu, sui muri dei locali scrivono frasi filosofiche, invece di “G ama T”, oppure cercasi maschi ben dotati telefonare al numero eccetera?
Mi stuzzicò le labbra con un dito. Piccola meravigliosa impertinente.
– Puoi non crederci, ma è così. Faceva parte delle decorazioni di una parete. Anche se…
– Anche se?
– Anche se è strano, perché non ricordo ci fossero altre frasi, su quella o su altre pareti. Se c’erano, non le ho mai notate.
Lei avvicino il suo viso al mio.
– E’ un posto dove andavi spesso?
– Qualche volta. In un’altra vita.
– E ti divertivi?
– Sì, direi proprio di sì.
Si avvicinò di più.
– Ci andavi con delle ragazze?
– Sì.
– Fra di loro c’era la tua ragazza?
– No.
Sempre più vicini. Le nostre labbra quasi si sfioravano. I nostri respiri si intrecciavano, si confondevano. Ancora poco, e non saremmo più riusciti a guardarci negli occhi.
– Ma avresti voluto che ci fosse? – Sussurrò, con una luce maliziosa nello sguardo.
Anch’io risposi sussurrando.
– Ma che domande sono, eh? Anche tu, per essere una che ho conosciuto meno di sei ore fa, ti prendi certe confidenze…
Rise divertita. – Mi piace stuzzicarti.
– L’ho notato.
– Ti da fastidio?
– No. Mi piace il tuo modo di stuzzicarmi.
– Bene, allora… Vorresti essere là, in questo momento?
– No.
– No?
– No.
¿Por qué no?
Ora era il mio turno di stuzzicarla. Ma solo un po’.
Indugiai appena qualche attimo, prima di risponderle.
– Perché qui sto benissimo.
– Sul serio?
– Mai stato meglio.

Era vero. Quella sera stavo riuscendo a non pensare al motivo per cui mi trovavo lì, dall’altra parte del mondo, a un oceano di distanza da casa.
Era tutto perfetto.
La mia risposta le piacque. Molto. Vidi dal suo sguardo che era compiaciuta. Di più. Sembrava felice.
– Anch’io sto benissimo – Disse. – E’ bello stare fra le tue braccia. Es muy bueno.
Io rimasi in silenzio. La guardavo col sorriso a fior di labbra, la bocca socchiusa, indeciso se baciarla di nuovo o ammirarla ancora un po’.
Col naso, le scostai una ciocca ribelle dalla fronte. Questo la divertì.
– Ed è per trovare la saggezza che hai viaggiato fin qui a Rosario, e sei entrato nel mio bar?
Ecco. Il maledetto motivo che tornava a galla. Del resto, come avrebbe potuto essere altrimenti?
Non so se fu la situazione così intima, il trasporto della passione, o che altro. So solo che fui colto da un impeto improvviso di sincerità totale. Così le dissi la verità. Mi uscì fuori con un tono limpido e secco.
– No. Sono venuto fino a qui perché sono un ricercato. Nel mio paese ho ucciso un uomo. E’ stato un incidente, ed è stata colpa sua. Ma ho capito subito che, insieme alla sua vita, era finita anche la mia. Così sono scappato.

Lei non fece una piega. Mi guardò con un’aria quasi divertita. Poi mi baciò di nuovo. Un bacio lungo, appassionato, caldo. Ricambiai con entusiasmo.
Lei si alzò, e mi tese la mano perché mi alzassi anch’io. Quando fui in piedi accanto a lei, sorridendo mi guardò negli occhi e mi disse:
No me importa cómo y por qué has venido a la Argentina. La sola cosa che conta è che tu sia qui. Ora. Con me.
Sempre sorridendo mi prese per mano; e continuando a sorridermi, e a guardarmi da sopra la spalla, mi condusse in camera da letto.
L’avevo capito già in quel momento, e ora lo so per certo, che non mi aveva creduto. Ma per quella notte andava bene così. Per quella notte non ebbi da chiedere niente di meglio.
Mentre, mano nella mano, la seguivo oltre il breve corridoio, e ammiravo la danza morbida e flessuosa di quel suo culito divino, ero più che certo che sarebbe stata una delle notti migliori che avrei potuto ricordare.
Non mi sbagliavo.

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(In foto: l’attrice messicana Ana Serradilla, ritratta su questa pagina web)